False fatture per false operazioni: errato sottovalutare il fornitore

False fatture per false operazioni: errato sottovalutare il fornitore

False fatture per false operazioni: errato sottovalutare il fornitore

False fatture per false operazioni:
errato sottovalutare il fornitore
Le dichiarazioni di terzi rese nel corso di attività investigativa e trascritte nel pvc possono essere poste a base di un giudizio presuntivo teso a dimostrare l’evasione fiscale
False fatture per false operazioni:|errato sottovalutare il fornitore
Con ordinanza 25291 del 25 ottobre 2017, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di operazioni inesistenti, questa volta con riguardo al procedimento che il giudice deve seguire nella valutazione della prova presuntiva.
In particolare, secondo la Corte, il giudice del merito deve sempre procedere all’esame e alla valutazione di tutti gli elementi forniti in sede di accertamento, sia presi singolarmente sia nel complessivo quadro del materiale raccolto, esplicitando l’iter logico seguito e dando conto delle specifiche motivazioni per le quali essi sono stati ritenuti irrilevanti ai fini della soluzione della controversia.
 
I fatti all’origine del contenzioso e la vicenda processuale
Un contribuente, titolare di una ditta individuale, impugnava un avviso di accertamento contenente il recupero di Irpef, Irap e Iva, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, secondo il quale le fatture annotate in contabilità, e dichiarate ai fini impositivi, erano riconducibili a operazioni oggettivamente inesistenti.
 
Il giudizio di primo grado si è concluso con una sentenza parziale, appellata da entrambe le parti e, in seguito, riformata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, con sentenza 245/05/2009 del 29 giugno 2009, che ha accolto integralmente le doglianze del contribuente.
In particolare, il giudice dell’appello ha ritenuto illegittime le riprese a tassazione contenute nell’atto di accertamento sul rilievo che, in assenza di ulteriori riscontri e controlli presso l’azienda, le dichiarazioni rese da terzi (titolari delle ditte fornitrici) innanzi ai militari verbalizzanti, in ordine all’esistenza di giacenze di magazzino presso l’azienda nonché alle operazioni di trasporto della merce acquistata, non potevano assurgere a presunzioni con valore probatorio ai fini della esclusione dell’effettività dei sottostanti rapporti commerciali, rilevando solo come “meri indizi”.
 
L’Agenzia delle entrate, alla luce del disposto dell’articolo 360, comma 1, n. 5), cpc vigente ratione temporis, ha proposto ricorso in Cassazione avverso detta pronuncia per insufficiente motivazione, ritenendo che il giudice di secondo grado abbia omesso di valutare tutte le allegazioni dell’ufficio e le correlate risultanze documentali, da sole sufficienti a dimostrare la fondatezza dell’accertamento, non rendendosi, quindi, necessario, da parte della Guardia di finanza disporre l’ulteriore verifica della merce presente in azienda ovvero ispezioni presso la ditta di trasporto della merce indicata nelle fatture oggetto di contestazione.
 
Dopo plurime pronunce che hanno delineato i criteri di riparto dell’onere della prova nelle contestazioni di operazioni inesistenti, con l’ordinanza in commento la Corte di cassazione si è soffermata su un ulteriore aspetto, concernente il procedimento che il giudice deve seguire ai fini della valutazione della prova presuntiva.
Nel caso di specie, la Corte suprema ha ritenuto la decisione della Commissione tributaria regionale viziata per insufficiente motivazione evidenziando che il giudice del merito – seppure può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari considerati – deve in ogni caso darne adeguato conto nella motivazione, esplicitando l’iter logico seguito e individuando “le ragioni per le quali va esclusa la inferenza probabilistica di una serie di elementi fattuali, che pure sono desumibili dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, e che erano stati evidenziati dall'Agenzia delle Entrate”.
 
A parere dei giudici di legittimità, dalla sentenza della Ctr non risulta che vi sia stata una puntuale disamina di tutti gli elementi disponibili, da considerare sia singolarmente, sia “nel complessivo quadro del materiale raccolto”, al fine di valutare “la possibilità o l’impossibilità di pervenire, con un grado di approssimazione ragionevole, all’accertamento dell'evasione fiscale, essendo sufficiente che il fatto ignoto da provare (evasione fiscale) sia desumibile dal fatto noto non in termini di assoluta certezza, ma come conseguenza ragionevolmente possibile o probabile, secondo regole di esperienza” (cfrCassazione, pronunce 22656/2011, 16993/2007, 13546/2006, 128022006, 3390/2005, 16831/2003 e 15399/2002).
 
Più specificamente, la Ctr ha trascurato che risultava dagli atti che i rappresentanti legali delle ditte fornitrici avevano dichiarato di non aver svolto alcuna attività, di non possedere contabilità, di non aver presentato dichiarazione fiscale, di non aver mai emesso le fatture oggetto di contestazione, di non aver mai ricevuto pagamento a fronte delle stesse, di non aver consegnato la merce alla società di trasporto. Inoltre, i militari verbalizzanti avevano predisposto ulteriori riscontri con sopralluoghi presso le ditte fornitrici, dai quali era emerso che non esisteva alcuna azienda e/o attività per l’anno di riferimento, nonché interrogazioni all’Anagrafe tributaria, dalla quale in effetti non risultava presentata alcuna dichiarazione.
Il giudice del merito, di contro, ha dato rilevanza, in senso negativo, alle sole dichiarazioni di terzi, considerate “meri indizi”, incentrando la decisione sul ritenuto bisogno di ulteriori e differenti attività di controllo e verifica dei dati già acquisiti, circostanza che, a parere del giudice di legittimità, non risolve la questione della ricorrenza, rispetto agli indizi disponibili, dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza richiesti nell’ambito della prova presuntiva.
 
Di qui la censura della sentenza per insufficiente motivazione.
Nella medesima pronuncia, la Corte, richiamando propri precedenti, ha ribadito che le dichiarazioni rese da terzi agli organi investigativi dell’amministrazione finanziaria e trascritte nel verbale di constatazione possono essere poste a base di un giudizio presuntivo teso a dimostrare l’evasione fiscale. Nel processo tributario, infatti, anche se vige il divieto della prova testimoniale, le dichiarazioni di terzi costituiscono un principio di prova che, corroborato e integrato da altre circostanze di fatto, come nel caso esaminato, può consentire la dimostrazione dei fatti in contestazione.
 
Poiché, in ogni caso, “spetta al giudice di merito esaminare e giudicare – in caso di valutazione positiva degli indizi – se il contribuente abbia prodotto prove sufficienti a vincere la presunzione eventualmente scaturita da tali indizi, tenendo presente che, in tal caso, l’onere di provare l'inesistenza del fatto costitutivo della pretesa fiscale (natura fittizia delle operazioni commerciali) grava, per effetto della presunzione, sul contribuente medesimo (Cass. n. 9402/2007, n. 7421/1986)” , la Corte suprema ha rinviato la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.
 
Fonte
Fiscooggi.it
Autore
Letizia Berti
pubblicato Venerdì 17 Novembre 2017
http://www.fiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/false-fatture-false-operazionierrato-sottovalutare-fornitore