La sola residenza in "comunione" non puņ sconfessare il redditometro

La sola residenza in

La sola residenza in "comunione"
non può sconfessare il redditometro
 
Spese per incrementi patrimoniali, due autoveicoli e un bene immobile destinato ad abitazione principale: questi gli elementi alla base dell'accertamento sintetico
padre, madre e figlio
Per il contribuente chiamato a vincere la presunzione di maggior reddito, non è sufficiente allegare la residenza anagrafica nello stesso fabbricato del padre, essendo necessario provare non solo l'effettiva convivenza ma, altresì, la disponibilità del genitore a coprire tutti i costi.
È quanto emerge dalla sentenza n. 13819 del 18 giugno 2014 della Corte di cassazione.

La vicenda processuale
Il contenzioso in esame nasce dall'impugnazione di avvisi di accertamento sintetici emessi per le annualità 1997 (in rettifica della dichiarazione presentata) e 1998 (priva di dichiarazione), data la disponibilità del contribuente di due autoveicoli e di un bene immobile destinato ad abitazione principale, oltre a spese per incrementi patrimoniali.

La Ctp accoglieva il ricorso, giudicando congruo il reddito dichiarato per il 1997 e insussistente il presupposto impositivo per l'annualità successiva, in considerazione del fatto che il ricorrente abitava con il padre in un immobile di proprietà di quest'ultimo e in assenza della prova che le spese di gestione ricadessero sul figlio.

Di diverso avviso la Ctr che, nell'accogliere parzialmente l'appello dell'ufficio, statuiva che la prova anagrafica della residenza del contribuente nel medesimo edificio del padre non esimeva lo stesso dall'onere di provare la convivenza tra i due e, inoltre, la disponibilità da parte del genitore di mezzi sufficienti a coprire tutti i costi di gestione della casa, che correttamente andavano attribuiti al ricorrente come indici di capacità contributiva.
Considerate tali premesse, la Ctr, per l'anno 1997, in riforma dell'impugnata sentenza, rideterminava il reddito accertato sinteticamente, rimettendo al competente ufficio la conseguente riliquidazione del debito tributario e le relative sanzioni, rigettando nel resto.

L'Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione, denunciando il vizio di motivazione (insufficiente e contraddittoria) nel quale era incorsa la Commissione tributaria regionale, omettendo di spiegare le ragioni e le modalità della rettifica del reddito sintetico accertato. Tale lacuna si rifletteva soprattutto nel dispositivo, ovvero nella formula di "rigetto per il resto", suscettibile di interpretazioni alternative, potendo far riferimento sia al ricorso introduttivo sia alla sentenza impugnata. Analogamente, di difficile interpretazione la ratio dell'annullamento dell'avviso di accertamento riguardante l'annualità 1998.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, con la pronuncia in esame, ha accolto il ricorso presentato dall'Amministrazione finanziaria, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno, infatti, statuito che "nonostante l'accoglimento dell'appello, e la chiara enunciazione della corretta attribuzione al contribuente dei costi presunti della gestione della sua residenza, non appare comprensibile quale sia l'iter, e dunque sulla base di quale quadro probatorio assunto come decisivo, la CTR sia giunta alla rideterminazione quantitativa del reddito nella minor somma di Lit 24 milioni circa per il 1997". "Rilevando, altresì, un grave deficit di esposizione sulla parte di impugnazione che aveva fatto riferimento critico alla statuizione del primo giudice quanto al 1998".

La Cassazione, pertanto, da un lato conferma l'assunto di partenza affermato dalla Ctr sulla non sufficienza della prova anagrafica della residenza nello stesso fabbricato del padre, dall'altro censura il giudizio conclusivo al quale i giudici di secondo grado sono approdati, in difetto dell'esplicitazione dei criteri e delle modalità di rideterminazione del reddito sintetico.

Osservazioni
Ai sensi dell'articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, nella formulazione vigente pro tempore, l'ufficio, rilevata la disponibilità di indici di capacità contributiva, è legittimato a presumere la sussistenza di redditi non dichiarati in capo al contribuente. Spetterà a quest'ultimo fornire la prova contraria ovvero dimostrare o che il reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta ovvero che "il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore" (Cassazione n. 9539/2013).

La giurisprudenza di legittimità, in realtà, aveva già ammesso la possibilità per il contribuente di dimostrare che il reddito determinato in via sintetica potesse trovare giustificazione negli apporti di componenti il nucleo familiare. Emblematica la sentenza n. 17203/2006, nella quale si evinceva che "la norma non contiene nessuna indicazione in ordine alla titolarità soggettiva dei "redditi esenti" e/o di quelli "soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta" considerati idonei dal legislatore ad integrare il reddito dichiarato al fine di escludere e/o limitare l'ammontare del reddito sinteticamente accertato dall'Ufficio in base agli appositi indici".
La stessa prassi dell'Amministrazione finanziaria, in più occasioni (circolare n. 49/2007 e circolari ministeriali nn. 101/1999 e 7/1977), aveva richiamato l'attenzione degli uffici sulla "necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell'intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicatori di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possono trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare. Il richiamo a tale nucleo … trova evidente fondamento nel legame che lega le persone indicate che lo compongono e non già soltanto nella loro convivenza" (cfr Cassazione, sentenze nn. 17203/2006 e 5365/2014).

In tale prospettiva, premesso che grava sul contribuente l'onere di dimostrare l'entità, in termini quantitativi e qualitativi, degli apporti reddituali provenienti dai familiari, la sentenza in esame ha dato indicazioni sulla consistenza di detta prova.
In particolare, nel confermare sul punto la statuizione della Ctr, la Corte suprema ha attestato che il contribuente, per evitare che i costi di gestione dell'immobile in cui vive con il nucleo familiare gli vengano imputati come indici di capacità contributiva, non potrà limitarsi alla prova anagrafica della residenza con detto nucleo, ma dovrà, altresì, provare l'effettiva convivenza, nonché le disponibilità finanziarie del genitore a coprirne i costi.

Infine, con la sentenza in esame, la Cassazione, nell'accogliere il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, ha affrontato la tematica nella prospettiva processual-civilistica. Cioè, facendo leva sul secondo comma dell'articolo 115 cpc, in base al quale il giudice può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (fatto notorio), senza che sia necessario un ulteriore riscontro probatorio, i giudici di legittimità hanno escluso che si possa far rientrare nella nozione di comune esperienza "un evento o una situazione soltanto probabile quale, nel caso in esame, la mera prassi familiare di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli".
Fonte
Dora De Marco
pubblicato Venerdì 27 Giugno 2014
http://www.fiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/sola-residenza-comunionenon-puo-sconfessare-redditometro