Inesistenza soggettiva operazioni: è pur sempre un delitto tributario

Inesistenza soggettiva operazioni: è pur sempre un delitto tributario

Inesistenza soggettiva operazioni:
è pur sempre un delitto tributario

L’incertezza sui fornitori delle prestazioni, nonché sulla veridicità dei dati contabilizzati rispetto a quelli fatturati, sono di per sé sufficienti per ritenere sussistente l’intento criminoso

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Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (ex articolo 2, Dlgs n. 74/2000) può configurarsi anche in caso di “inesistenza soggettiva” dell’operazione, senza necessità di dimostrare la collusione tra emittente della fattura e suo utilizzatore. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza n. 36359 del 23 agosto 2019.
 
I fatti
Il tribunale di Roma ha condannato l’amministratore unico di una srl, esercente attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, perché, nella sua qualità, per evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di due fatture per operazioni inesistenti emesse da un’impresa individuale, ha indicato elementi passivi fittizi corrispondenti all’importo fatturato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2009 (articolo 2, Dlgs n. 74/2000).
 
Il tribunale notava che l'imputato non aveva prodotto i contratti di sub-appalto con la ditta emittente e non aveva fornito documentazione dalla quale potesse desumersi il nominativo dei dipendenti di quest'ultima impegnati in cantiere, compresa la certificazione della regolarità contributiva.
Osservava, inoltre, quanto fosse:

  • impossibile che la ditta emittente, a fronte di un fatturato complessivo di circa due milioni di euro, non avesse documentato i costi sostenuti per produrre tali ricavi
  • improbabile che la società dell’indagato potesse aver affidato interventi incidenti sulla statica di un edificio scolastico a una ditta individuale, costituita l'anno precedente, senza verificare preventivamente la professionalità dei dipendenti e l'idoneità delle apparecchiature che venivano utilizzate.

Il giudice di secondo grado, pur condividendo le conclusioni del primo sulla ditta individuale emittente la fatture, in riforma della sentenza del tribunale, ha dichiarato, tra l’altro, non doversi procedere perché il reato era estinto per prescrizione.
In particolare, la Corte d’appello di Roma ha osservato che le prestazioni erano state eseguite da un’impresa diversa poiché la ditta: a) non era attrezzata per eseguire le complesse prestazioni descritte nelle due fatture oggetto di contestazione (aveva sede in un appartamento di Pomezia, non aveva alcuna struttura aziendale né logistica, aveva solo due dipendenti con rapporto lavorativo di sette mesi, non aveva avuto rapporti con imprese fornitrici); b) nei tre anni di apparente attività, non aveva mai presentato alcuna dichiarazione ai fini fiscali; c) i versamenti bancari effettuati in suo favore dai beneficiari dei servizi erano sensibilmente inferiori agli importi fatturati negli anni 2008/2009.
 
Il legale rappresentante ha proposto ricorso per cassazione lamentando l'erronea applicazione dell'articolo 2, Dlgs n. 74/2000, e l'omessa motivazione sulla mancanza di prova del dolo di evasione che, a suo parere, richiedeva la necessaria sussistenza di collusione tra emittente della fattura e utilizzatore, collusione che peraltro, nella fattispecie, non era stata dimostrata.
 
La Cassazione ha dichiarato infondato il motivo e ha affermato che la … tesi difensiva della indefettibile necessità, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, della collusione tra emittente della fattura e utilizzatore della prestazione, oltre ad essere manifestamente infondata, è inapplicabile quando, come nel caso di specie, non è certa nemmeno l'effettiva corrispondenza tra i costi documentati e quelli realmente sostenuti” (Cassazione, n. 36359/2019).
 
Osservazioni
I giudici di piazza Cavour hanno ribadito il principio generale secondo il quale, la possibilità di detrarre dall'imponibile i costi documentati da una fattura emessa per operazioni soggettivamente inesistenti comporta la necessità che il costo documentato sia certo e corrispondente a quello effettivamente sostenuto, anche quando la prestazione descritta, oggettivamente esistente, vera e reale, sia riferibile materialmente ad altro soggetto, diverso dall’emittente.
I costi, infatti, possono essere detratti solo se rispondono ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità che informano l'ordinamento tributario (Cassazione, nn. 28145/2013 e 2039/2018).
Nel caso esaminato, invece, non solo sono rimasti ignoti i fornitori della prestazione, ma è risultata anche dubbia la corrispondenza tra costi sostenuti a titolo di corrispettivo delle prestazioni ricevute e quelli fatturati. Soprattutto perché il legale rappresentante, onerato di dimostrare tale corrispondenza effettiva, non ha provato l’inesistenza di finalità di evasione.
 
L’incertezza sui fornitori nonché sulla veridicità dei dati contabilizzati rispetto a quelli fatturati sono di per sé sufficienti per ritenere sussistente l’elemento psicologico previsto dall’articolo articolo 2, Dlgs n. 74/2000. Al riguardo, infatti, i giudici di legittimità hanno chiarito che il dolo di evasione non richiede che sussista collusione tra emittente e fornitore. Prima di tutto, perché non “è certa nemmeno l’effettiva corrispondenza tra i costi documentati e quelli realmente sostenuti”; poi, perché le conclusioni non sarebbero diverse nemmeno nel caso in cui fossero ignoti solo i fornitori ma vi fosse corrispondenza tra i corrispettivi fatturati e quelli pagati all'impresa terza. Ciò in quanto il soggetto che effettua la prestazione di servizi imponibile ai fini Iva deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al committente (articolo 18, comma 1, Dpr n. 633/1972) e quest’ultimo, a sua volta, può detrarre dall'imposta quella a lui addebitata a titolo di rivalsa.
Di conseguenza, la mancanza di prova dell'effettivo pagamento dell'Iva addebitata al committente, a titolo di rivalsa, può comportare il venir meno del diritto alla detrazione, con evidenti vantaggi del committente che, da un lato, si assicura un servizio a un prezzo per lui più conveniente, dall'altro fruisce di un'indebita detrazione dell'imposta dovuta.
Inoltre, esponendo dati fittizi anche solo soggettivamente, vengono a crearsi i presupposti per chiedere rimborsi non spettanti ovvero, indicando in fattura un soggetto diverso da quello che ha effettivamente compiuto la prestazione, può essere alterata la qualità del fornitore con riflessi sull’aliquota applicabile e, quindi, sull’entità dell’imposta che il committente può legittimamente detrarre (Cassazione, n. 19012/2015).
 
Proiettando il contesto fattuale-operativo sul piano penale, la Corte ha affermato che, nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, il dolo è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l'Iva versata dall'utilizzatore della fattura non è stata pagata dall'esecutore della prestazione medesima (Cassazione, nn. 19012/2015, 20858, 30874, 46069 e 57534 tutte del 2018).
Nella fattispecie al suo vaglio, la Corte ha concluso che non è necessaria la "collusione" tra emittente e utilizzatore della fattura emessa a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti, diversamente dalle situazioni (ad esempio, “frodi carosello”) nelle quali deve essere dimostrato che l'acquirente finale del bene potrebbe non essere effettivamente parte (e dunque non a conoscenza) del meccanismo fraudolento di evasione posto in essere dal venditore del bene.

 

Fonte

www.fiscooggi.it

Pubblicato in data 23.09.2019