Assolto l’imprenditore che sacrifica la sua abitazione per garantire i debiti previdenziali e fiscali. Avv. Francesco Cotrufo

La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 26519 del 23 settembre 2020, ha assolto dal reato di omesso versamento di contributi previdenziali, l’imprenditore che perde improvvisamente una commessa importante e che compie ogni sforzo economico possibile per fronteggiare il debito, esponendo la propria abitazione a garanzia del debito, con successivo assoggettamento a pignoramento immobiliare.

Fatti

Il rappresentante legale di una srl era stato condannato nei primi due gradi di giudizio a sei mesi di reclusione per non aver versato le ritenute ai suoi dipendenti.

L’imprenditore si era difeso sostenendo che aveva improvvisamente perso gli appalti sui quali si reggeva l’impresa e che in un altro giudizio, relativo allo stesso periodo per il reato di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis del d.lgs. 74/2000), era stato assolto da tutte le accuse proprio perché aveva offerto la sua casa a garanzia dei debito con l’Erario.

I Supremi Giudici, nell’accogliere il ricorso, hanno statuito che anche se è una fattispecie criminosa diversa da quella del giudizio in esame, è pur sempre un reato omissivo avente ad oggetto somme di danaro, afferente allo stesso arco temporale del delitto in contestazione.

Avendo il Tribunale di Terni ritenuto che l'improvvisa perdita delle commesse e degli appalti su cui la società aveva sempre fino ad allora potuto fare affidamento costituisse una causa di forza maggiore rispetto al venir meno della liquidità necessaria all'adempimento idonea a escludere l’elemento soggettivo del reato per avere l'imprenditore al contempo profuso ogni possibile sforzo economico per fronteggiare il debito, addirittura esponendo la sua stessa casa di abitazione, risultata poi assoggettata a pignoramento immobiliare, la Corte d’Appello di Perugia ne avrebbe dovuto tener conto ai fini di una assoluzione.

Invero, l'identità del periodo interessato dalla crisi di liquidità aziendale, così come della natura dei due reati non consentiva ai giudici del gravame di ignorare la suddetta sentenza, cosi come è accaduto, ma richiedeva, al contrario, ove avesse ritenuto di confermare la pronuncia di condanna resa all'esito del primo grado del medesimo giudizio, una sorta di motivazione rafforzata volta non solo a illustrare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento, ma altresì a confutare i più rilevanti argomenti della pronuncia assolutoria.

Avv. Francesco Cotrufo, avvocato e commercialista del foro di Bari