La Corte di cassazione ha stabilito che il delitto di indebita compensazione, previsto dall'articolo 10-quater, Dlgs n. 74/2000, non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale. Ciò, a differenza del reato di dichiarazione infedele, di cui all'articolo 4 dello stesso decreto legislativo, in cui, invece, il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all'Iva.
Questo il principio di diritto, contenuto nella sentenza n. 32686, dello scorso 23 novembre.
Indebita compensazione e dichiarazione infedele
La Cassazione richiama il principio di diritto secondo cui l'assenza della dichiarazione Iva non incide sulla configurabilità del reato di indebita compensazione.
Infatti, “In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10 quater D.Lgs. 74/2000, si consuma al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale” (cfr Cassazione n. 4958/2018).
La configurazione legislativa del delitto di indebita compensazione, infatti, differisce da quella del reato di dichiarazione infedele (ex articolo 4, Dlgs n. 74/2000), in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all'Iva (cfr anche Cassazione n. 4958/2019).
Avv. Francesco Cotrufo, avvocato e commercialista del foro di Bari