Illegittima la pronuncia di invaliditā di un atto accertativo se fondata su una questione dedotta per la prima volta con memoria ex art. 32, D. Lgs. n. 546/1992.

GIURISPRUDENZA

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Illegittima la pronuncia di invalidità di un atto accertativo se fondata su una questione dedotta per la prima volta con memoria ex art. 32, D. Lgs. n. 546/1992.

Con ordinanza n. 14165, depositata il 24.05.2021, la Corte Suprema ha annullato la sentenza d’appello accogliendo il motivo di ricorso con il quale l’AE lamentava che la decisione d’appello trovasse fondamento su un motivo di invalidità dedotto dal contribuente con memoria difensiva ex art. 32 – D. Lgs. n. 546/1992.

Va ricordato”, afferma il Supremo Collegio, “che il comma 2 dell’art. 24, D. Lgs. n. 546/1992 consente la proposizione di motivi aggiunti (solo) nel primo grado del processo avanti alle Commissioni tributarie alla stretta condizione che essa sia resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti … entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito ed, altresì che è pacifico in giurisprudenza che «Nel giudizio tributario è ammissibile la deduzione nella memoria ex art. 32 del d. lgs. n. 546 del 1992, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento … in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituisco la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazionesoggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d. lgs. n. 546/1992» (Cass. n. 19616/2018; n. 31605/2019). Nella specie, la deduzione del motivo di illegittimità (…) dell’atto impositivo … è avvenuta con la memoria illustrativa di cui all’art. 32 d. lgs. n. 546/1992 e non è dato sapere se, comunque, sia stato rispettato il termine perentorio di cui all’art. 24, comma 2 cit., né tantomeno se questo motivo aggiunto sia dipeso, come necessario, da una produzione documentale delle controparti; è evidente che la CTR nel fondare la decisione di annullamento dell’avviso sul vizio … dedotto ex novo con la memoria illustrativa ex art. 32, ha ecceduto i confini della causa petendi delimitati dai motivi di impugnazione formulati dal contribuente nel ricorso introduttivo …”.

La pronuncia viene segnalata non già per i principi in essa contenuti - essendo ben nota a tutti la preclusione processuale illustrata dalla Corte - quanto piuttosto per due aspetti che emergono dal percorso motivazionale spiegato che impongono altrettante puntualizzazioni.

Il primo. La Cassazione, proprio all’esordio dell’inciso motivazionale sopra riportato, nell’indicare le stringenti condizioni, normativamente prescritte dall’art. 24, D. Lgs. n. 546/1992, afferma che l’integrazione dei motivi di ricorso possa essere operata solo nel primo grado del processo dinanzi alle Commissioni Tributarie.

L’asserzione appare fuori luogo, ove l’intento del Supremo Collegio fosse quello di introdurre una regola generale. Non potrà, infatti, limitarsi sic et simpliciter la possibilità di introdurre i motivi aggiunti al solo primo grado di giudizio, dovendosi, piuttosto, operare una valutazione per singolo caso circa l’operatività della suddetta preclusione. Il riferimento va alle ipotesi, invero non infrequenti, in cui la controparte erariale, assunto un comportamento di inerzia processuale totale e/o parziale (nel senso che non partecipi attivamente al giudizio decidendo di non costituirsi in giudizio, o, partecipandovi, non ottemperi ai necessari depositi documentali) nel giudizio di primo grado, rinvii, invece, al giudizio di appello tale attività (peraltro consentita, quanto al deposito dei mezzi istruttori, dall’art. 58, D. Lgs. n. 546/92).

Seguire l’intendimento della Corte secondo il quale i “motivi aggiunti” siano proponibili solo nel primo di giudizio, in ipotesi come quella descritta, vorrebbe dire gravemente comprimere l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, al quale giammai potrà essere precluso di proporre motivi aggiunti laddove le condizioni di cui al più volte citato art. 24, D. Lgs. n. 546/92, si verifichino, per la prima volta, nel giudizio d’appello.

Il secondo. Nella parte conclusiva dell’inciso motivazionale riportato, la Corte afferma che, appurato che la sentenza di annullamento dell’atto impositivo trovi il proprio fondamento su un motivo introdotto con memoria ex art. 32, D. Lgs. n. 546/92, “… non è dato sapere se, comunque, sia stato rispettato il termine perentorio di cui all’art. 24, comma 2 cit., né tantomeno se questo motivo aggiunto sia dipeso, come necessario, da una produzione documentale delle controparti …”.

Tale affermazione potrebbe indurre in errore, perché sembrerebbe avere avuto un peso, nella decisione assunta, la circostanza che la Corte non sia stata resa edotta dell’eventuale rispetto del termine e delle condizioni imposte dall’art. 24, D. Lgs. n. 546/1992, ai fini della memoria ex art. 32.

Dimenticano, i Giudici Eccellentissimi, l’assoluta irrilevanza delle suddette informazioni, tenuto conto del vizio procedurale che, in ogni caso, sarebbe stato insito nel contegno processuale del contribuente. Le memorie ex art. 32, D. Lgs. n. 546/1992, costituendo mero atto difensivo, andranno semplicemente depositate in Commissione tributaria; i motivi aggiunti ex art. 24, D. Lgs. n. 546/92, invece, introducendo nuovi mezzi di censura avverso l’atto opposto, seguiranno una strada differente, identica a quella del ricorso imponendosene, cioè, la previa notificazione alla controparte, con successivo deposito in Commissione Tributaria, al fine di garantire il rispetto delle regole del contraddittorio processuale.

Avv. Iris Maria Ruggeri - Cassazionista del foro di Catania -

 

 

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