L’inps non può notificare l’avviso di addebito nell’ipotesi di annullamento del relativo avviso di accertamento.

GIURISPRUDENZA

L’inps non può notificare l’avviso di addebito nell’ipotesi di annullamento del relativo avviso di accertamento.

 

La Corte di Appello di Bari, con sentenza depositata in data 06.04.2023, in una causa patrocinata dagli Avv.ti Francesco Cotrufo e Iris Maria Ruggeri di COTRUFO & Partners - Avvocati e Commercialisti, riformando la sentenza del Tribunale di Bari, ha accolto l’appello del Sig. xxxxxx dichiarando non dovuti i contributi inps collegati ad un avviso di accertamento annullato dalla Corte di Giustizia Tributaria di Bari.  

Secondo il Collegio Barese, l’appello è da ritenersi fondato in forza delle considerazioni che seguono, non potendosi condividere la decisione assunta dal Tribunale di Bari.

Innanzitutto, non è corretto ritenere che nella specie non operi l’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, bensì l’art. 4 del d.lgs. n. 462 del 1997.

A mente del comma 3 cit., «Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice».

La Suprema Corte ha chiarito che l’accertamento di cui discorre il comma 3 cit. è anche quello effettuato da ente pubblico diverso dall’ente previdenziale, come nel caso dell’Agenzia delle Entrate (v. Cass. n. 8379 del 2014: «In tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali, l’art. 24, comma 3, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice, qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle entrate, né è necessario, ai fini della non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’INPS sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento innanzi al giudice tributario»; v. altresì Cass. n. 4032 del 2016: «L’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali è subordinata, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, all’emissione di un provvedimento esecutivo del giudice ove l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, senza distinguere se esso sia eseguito dall’ente previdenziale ovvero da altro ufficio pubblico e senza richiedere la conoscenza, da parte dell’ente creditore, dell’impugnazione proposta»). 

È pur vero che, ai sensi del comma 8 dello stesso art. 24, «Resta salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462».

Al contrario di quanto affermato dal Tribunale, tuttavia, ciò non implica che in presenza di impugnazione dell’accertamento presupposto dinanzi all’Autorità Giudiziaria sia consentita l’iscrizione frazionata del credi-to.

Ed infatti, l’art. 4 del d.lgs. n. 462 del 1997 si limita a sostituire il testo dell’art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973, che consente l’iscrizione “frazionata” dei crediti in virtù di accertamenti non definitivi (così testualmente re-cita l’art. 4 cit.: «1. Il primo comma dell’art. 15 del decreto del Presidentedella Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni per le iscrizioni a ruolo in base ad accertamenti non definitivi, è sostituito dal seguente: “Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”»). 

Tuttavia, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 46 del 1999 (norma successiva al d.lgs. n. 462 del 1997), l’art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973 si applica esclusivamente alle imposte sui redditi («1. Le disposizioni previste dagli articoli 14, 15, 32, 33, 34, 35 [, 36], 37, 38, 41, 42-bis, 43-bis, 43-ter, 44 e 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applicano alle sole imposte sui redditi»). In questo senso si sono espresse Cass. n. 20670 del 2014, in tema di diritti doganali, e Cass. n. 17562 del 2007, in materia di imposta sulla pubblicità.

Di conseguenza, nel caso di specie non opera l’art. 4 del d.lgs. n. 462 del 1997 e non rileva, quindi, la clausola di salvezza contenuta nel comma 8 dell’art. 24 cit.

 Va comunque ricordato che l’inosservanza dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999 non esonera il giudice investito dell’opposizione per motivi di merito dall’obbligo di verificare la fondatezza della pretesa contributiva azionata.

Ed infatti, «In tema di riscossione di contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi princìpi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo; ne consegue che, ove la cartella consegua ad un accertamento già impugnato davanti all’autorità giudiziaria, non sussiste un interesse concreto e attuale della parte a far valere l’illegittimità dell’iscrizione per difetto di un provvedimento giudiziale esecutivo sull’impugnazione dell’accertamento, ex art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999, senza neppure dedurre che la cartella emessa è stata azionata in via esecutiva, giacché un’eventuale pronuncia sul punto non comporterebbe per la parte alcun risultato giuridicamente apprezzabile» (v. Cass. n. 12025 del 2019; v. altresì, più di recente, Cass. n. 3360 del 2023, in motivazione: «Questa Corte è costante nell’affermare che, in tema di riscossione di con-tributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esatto-riale non può limitarsi ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, in quanto deve esaminare nel merito la fondatezza della pretesa dedotta dall’Istituto previdenziale (Cass., sez. VI-L, 7 maggio 2019, n. 12025, e 6 luglio 2018, n. 17858). I vizi formali della cartella non si riverberano sull’esistenza e sull’ammontare del credito (Cass., sez. lav., 19 gennaio 2015, n. 774)»). 

Da quanto detto deriva che, ferma restando l’invalidità dell’avviso di addebito, occorre comunque esaminare “nel merito” la fondatezza della pretesa fatta valere dall’Inps.

Al contrario di quanto sostiene parte appellante, difatti, la sentenza di annullamento dell’accertamento fiscale prodromico non esclude la necessità di vagliare i presupposti di insorgenza dell’obbligazione contributiva, stante l’autonomia del giudizio previdenziale rispetto a quello tributario, fra i quali infatti non si è un rapporto di pregiudizialità necessaria («Ai fini della sospensione necessaria del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur legate fra loro da pregiudizialità logica, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione»: v. Cass. n. 12996 del 2018, che ha annullato l’ordinanza di sospensione di un giudizio di opposizione ad avviso di adde-bito in materia di contributi previdenziali, in attesa della definizione del giudizio tributario pendente, pur fondato sullo stesso accertamento unificato dell’Agenzia delle entrate).  

Vale la pena di ricordare che per il calcolo dei contributi Inps “a percentuale” sul maggiore reddito l’atto di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ha efficacia anche a fini “extrafiscali” ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997 («Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che, ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, recante norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di di-chiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni, devono essere de-terminati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi»).

La Corte di cassazione (Cass. n. 13463 del 2017 e n. 19640 del 2018) ha avuto modo di affermare che tale accertamento costituisce un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento del fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva, cioè la produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito ex art. 1, comma 4, della l. n. 233 del 1990 («In presenza di un reddito di impresa superiore al limite di retribuzione annua pensionabile cui si applica la percentuale massima di commi-surazione della pensione prevista per l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, la quo-ta di reddito eccedente tale limite viene presa in considerazione, ai fini dei versamenti dei contributi previdenziali, fino a concorrenza di un importo pari a due terzi del limite stesso»). L’accertamento giunge dopo che il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione nella misura che egli ritiene dovuta e gli uffici competenti intervengono con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell’importo pagato.

In effetti, l’art. 1 del d.lgs. n. 462 del 1997, emanato in attuazione della legge delega n. 662 del 1996, al fine di unificare i criteri di determina-zione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso (art. 3, comma 134, della l. n. 662 del 1996), ha disposto che: «Per la liqui-dazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che ... devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi».

Ciò significa che a partire dalla dichiarazione 1999 (per i redditi 1998) l’Agenzia delle Entrate svolge un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’Inps.

In caso di mancato pagamento l’Inps procede, sulla base dei dati forniti dalla Agenzia delle entrate, all’iscrizione a ruolo dei contributi total-mente o parzialmente insoluti (ai sensi del d.lgs. n. 462 del 1997).

Si è dunque in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli at-ti di accertamento disposti dall’Agenzia delle entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplifi-care ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualun-que titolo dovute all’Inps, nonché di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto (v. anche art. 7, comma 2 lett. t, del d.l. n. 70 del 2011 conv., con modificazio-ni, in l. n. 106 del 2011).  

In ordine alla valenza probatoria degli accertamenti tributari la giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato (cfr., fra le tante, Cass. n. 14237 del 2017) che, in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’Iva, la legge – rispettivamente l’art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Pertanto, il giudice di merito (tributario od ordinario, nel caso della contribuzione previdenziale), investito del-la controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto, in motivazione, dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contri-buente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ. (cfr., fra le altre, Cass. n. 9784 del 2010).  

In definitiva, dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario si desume la necessità che lo stesso venga in qualche modo resistito dal contribuente che intenda, invece, evitare il consolidamento dell’accertamento stesso e ciò può avvenire con qualsiasi mezzo. In mancanza di tale resisten-za di segno negativo offerta dall’obbligato, l’atto di accertamento deve ritenersi idoneo a rendere definitivo l’avveramento del fatto nello stesso contenuto.

Pertanto, una volta che l’Inps abbia invocato tale accertamento, esso può essere sufficiente a suffragare la pretesa contributiva ove non resistita da prove di segno contrario (cfr. Cass. 21541 del 2019, in motivazione; v. anche, da ultimo, Cass. n. 950 del 2021, in tema di contributi dovuti alla Gestione artigiani sulla scorta del maggiore reddito accertato dall’Agenzia del-le Entrate).

Quanto al caso di specie, a seguito di ordinanza resa all’udienza del 26 aprile 2022 è stato acquisito l’avviso di accertamento n. TVF 011xxxxxxxxxxxxx4/2017, da cui emerge che il maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate è dipeso dal disconoscimento di costi di pubblicità esposti da xxxxxxxxx (titolare di un esercizio di xxxxxxxxxxxxx) nella dichiarazione reddituale relativa al 2012; pertanto, l’Ufficio accertatore ha reputato indeducibili costi per 29.000 euro (ed indetraibile l’Iva per 3.141 euro), con la consequenziale rideterminazione del reddito d’impresa e del valore della produzione.  

Il disconoscimento ha avuto luogo perché, secondo l’Ufficio, le modalità di pagamento non sono state comprovate (almeno in parte) e perché non è stata ritenuta dimostrata l’effettivo svolgimento di attività pubblicitaria (v. soprattutto pag. 4 dell’avviso: «Dall’esame dell’articolo di giornale non si rileva alcun riferimento alla pubblicità della Tabaccheria in questione e, nelle foto, gli atleti indossano magliette su cui non si evince il logo della Tabaccheria, né l’anno in cui sono state scattate. Le foto esibite delle magliette, pur evidenziando la scritta Giordano tabacchi sul retro, riporta-no carattere differenti e non dimostrano che proprio quelle magliette fosse-ro usate dai giocatori, ben potendo essere state predisposte artatamente in tempi differenti. Pertanto la società non ha dimostrato la certezza dei costi sostenuti. Ne consegue che, sia la mancata parziale indicazione delle moda-lità di pagamento, l’entità dell’importo fatturato, e, soprattutto, la totale mancanza di documentazione probatoria certa della pubblicità effettuata per la società ASD REAL GIOIA, costituiscono circostanze assolutamente inidonee ad integrare la prova della certezza e della oggettiva determinabilità dei costi prima ancora della loro inerenza all’attività svolta dalla ditta in questione»).  

A fronte di tali rilievi vi è però da osservare che – come già evidenziato dalla CTP di Bari nella sentenza n. xxxx18 prodotta da parte appellante (v. all. 2 del fascicolo di primo grado) – le incongruenze del con-tratto di pubblicità e sponsorizzazione evidenziate dall’Ufficio non sono tali da poter mettere in dubbio l’esistenza dell’erogazione del corrispettivo e l’effettività della prestazione, confermata dalle fatture emesse da xxxxxxxxxxxx e contabilizzate. Occorre difatti considerare che: a) l’importo di 13.000 euro, relativo alle prime quattro fatture, risulta pagato con bonifici bancari, come lo stesso Ufficio riconosce, sicché non si vede come sia possibile mettere in dubbio l’effettività del costo; b) quanto alle magliette, risultano esibite quelle recanti il logo della xxxxxxxxxxxxx di cui è titolare xxxxxxxx, mentre costituisce solo una supposizione il fatto che esse non fossero adoperate dai calciatori.

Nella citata sentenza il giudice tributario ha osservato, in maniera del tutto condivisibile, che la positiva situazione contabile dell’azienda (saldo per il 2012 pari a 170.026,58 euro) garantisce senz’altro l’economicità e la congruità della spesa, così corroborando il convincimento della sua inerenza rispetto all’attività svolta dallo sponsor.

D’altro canto, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 14232 del 2017) le spese di sponsorizzazione a favore di società sportive dilettantistiche (art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002) sono assistite da una presunzione legale assoluta circa la loro natura pubblicitaria e non di rappresentanza, purché ricorrano le seguenti condizioni: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (v. altresì Cass. n. 4612 del 2023: «In tema di spese di sponsorizzazione, il regime di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, nel testo vigente ratione temporis, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni re-se a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove i corrispettivi eroga-ti siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima, consentendo, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal reddito del soggetto sponsor»).  

In conclusione, per le indicate ragioni va escluso che sia stata raggiunta la prova dell’esistenza del maggior imponibile previdenziale accertato per l’anno 2012 mediante l’avviso n. TVF 0xxxxxxxxxx364 emesso dall’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Bari, con la conseguenza che non possono considerarsi dovute le somme riportate nell’avviso di addebito n. 3xxxxxxxxxx 000 notificato il 12 gennaio 2019.  

Alla luce delle esposte considerazioni, dunque, l’appello dev’essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va annullato l’avviso di addebito 314 xxxxxxxxxxxxxxxx 62 000 formato dall’Inps il 24 dicembre 2018 e notificato il 12 gennaio 2019; inoltre, vanno dichiarate non dovute da xxxxxxxxxxxxxxxxxo le somme ivi riportate a titolo di contributi, sanzioni, interessi ed oneri di riscossione.

Resta assorbita ogni altra questione. 

Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e vanno poste, quindi, a carico dell’Inps.

La liquidazione è affidata al dispositivo che segue. Essa è effettuata sulla scorta dei parametri di cui alla tabella allegata al d.m. n. 55 del 2014 tenuto conto del valore della causa, della sua complessità e dell’attività pro-cessuale in concreto espletata.

P Q M

La Corte di appello di Bari, sezione lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con ricorso depositato in data 29.9.2020 da xxxxxxxxxxxxxxx nei confronti dell’Inps avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Bari, sezione lavoro, in data xxxxxxxxx così provvede: 

accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugn-ta, annulla l’avviso di addebito 314 2018 xxxxxxxxxxxxxxxx formato dall’Inps il 24 dicembre 2018 e notificato il 12 gennaio 2019;

dichiara non dovute da xxxxxxxxxxxx le somme ivi riportate a titolo di contributi, sanzioni, interessi ed oneri di riscossione;

condanna l’Inps al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 2.000,00 per il primo grado ed € 2.200,00 per il se-condo, oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

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