Il no all’istanza di disapplicazione non dispone e non è impugnabile

Il no all’istanza di disapplicazione non dispone e non è impugnabile

Il no all’istanza di disapplicazione
non dispone e non è impugnabile
Se si potesse ricorrere sia contro la risposta all’interpello sia contro l’eventuale avviso d’accertamento, potrebbe accadere che la stessa questione venga valutata due volte
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Il ricorso del contribuente contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione dell’articolo 30 della legge 724/1994, in materia di società di comodo, ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/1973, è inammissibile, essendo proposto avverso un atto non autonomamente impugnabile.
Questa è la fondamentale statuizione contenuta nella sentenza n. 75 del 7 ottobre scorso della Commissione tributaria regionale della Puglia, non in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr sentenze nn. 8663/2011 e 17010/2012).

Il caso affrontato dal Collegio giudicante pugliese appare paradigmatico perché fa emergere, nella loro nitidezza, le conseguenze che si possono verificare qualora si ritenga autonomamente impugnabile il provvedimento di diniego dell’istanza di disapplicazione, oltre ovviamente all’atto impositivo che l’ufficio dovesse emettere qualora il contribuente comunque disapplichi la vigente normativa in materia di società di comodo.

L’accaduto
Una società costituita nel 1992, titolare dal 1998 di una concessione mineraria per lo sfruttamento dell’acqua minerale, presentava alla direzione regionale Entrate della Puglia, per il tramite dell’ufficio territorialmente competente, un’istanza ai sensi del citato articolo 37-bis, comma 8, per la disapplicazione delle disposizioni dell’articolo 30 della legge 724/1994, ai fini Ires, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2008.

Il direttore regionale rigettava l’istanza, ritenendo le circostanze addotte dalla società non oggettivamente idonee a ottenere la disapplicazione.

Avverso tale provvedimento, la società ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari.

La direzione regionale e l’ufficio competente si costituivano sostenendo, sotto il profilo procedurale, l’inammissibilità del ricorso avverso un atto non autonomamente impugnabile, sia perché non previsto dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992 sia perché tale provvedimento non ha valore dispositivo ma semplicemente consultivo.

La Ctp di Bari riteneva ammissibile il ricorso, ma lo rigettava nel merito.

Avverso la predetta decisione, proponeva appello la società e si costituivano in giudizio, con separati atti di controdeduzioni e appello incidentale, sia la direzione regionale sia quella provinciale competente, impugnando la sentenza per non aver accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo.
Insistendo sulle deduzioni già svolte in primo grado, i predetti uffici evidenziavano come la forma di tutela legittima del contribuente sia soltanto quella dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso a seguito del mancato adeguamento da parte della società alle determinazioni contenute nel provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione.

Secondo gli uffici non è ammissibile, alla luce del principio del ne bis in idem, che la stessa questione possa essere valutata sia in sede di ricorso avverso il rigetto dell’istanza di disapplicazione sia in occasione del ricorso avverso l’accertamento, con il rischio che si pervenga a giudicati diversi e contrastanti, proprio come è accaduto nel caso concreto, dal momento che la Ctp di Bari, con sentenza n. 165/19/11, ha accolto il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento notificatole per l’anno 2008.

Quindi, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, gli uffici chiedevano la riunione del procedimento con quello relativo all’appello dell’ufficio avverso la sentenza della Ctp.

Tutto ciò premesso, la Ctr della Puglia ha ritenuto inammissibile il ricorso della società contribuente, perché l’atto impugnato non è specificamente indicato nell’elenco dei provvedimenti impugnabili contenuto nell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 e perché la risposta resa a un’istanza di interpello non ha un contenuto di carattere impositivo tale da suscitare l’interesse immediato del destinatario a insorgere giudizialmente contro di essa per evitare effetti lesivi della propria sfera giuridica, limitandosi a costituire un contributo interpretativo dell’Amministrazione cui il contribuente ha la facoltà di conformarsi o meno.

Aggiunge poi il Collegio giudicante che l’obbligatorietà dell’istanza di disapplicazione non può mutare il carattere non vincolante del rigetto né tanto meno preclude all’istante la possibilità di dimostrare, anche successivamente, la sussistenza delle condizioni che legittimano l’accesso al regime derogatorio.
Di conseguenza, l’unica forma di tutela legittima dell’interesse del contribuente è quella dell’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso a seguito del mancato adeguamento alle determinazioni contenute nel provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione.
Se così non fosse, potrebbe accadere – come è accaduto nel caso in esame – che la stessa questione venga valutata due volte, con evidente violazione del principio del ne bis in idem e con il rischio che si giunga a conclusioni diverse e contrastanti.

Resta da vedere quale sarà l’orientamento che dovrà assumere la Corte di cassazione, qualora una vicenda simile a quella decisa dal giudice pugliese pervenga al suo esame.
Paola Parisi
pubblicato Martedì 22 Ottobre 2013