Il diritto di difesa non prevale sull'inviolabilitā del giudicato

Il diritto di difesa non prevale sull'inviolabilitā del giudicato

Il diritto di difesa non prevale
sull’“inviolabilità del giudicato”
Non può pretendere di impugnare tardivamente la sentenza la parte che, pur non avendo avuto notizia della data di trattazione, era comunque a conoscenza dell’esistenza del processo
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Nel processo tributario, il “termine lungo” per l’impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza anche nei confronti della parte costituita cui non sia stato comunicato l’avviso di trattazione della controversia.
Questo, in breve, il principio di diritto riaffermato dalla Cassazione, con la sentenza n. 23323 del 15 ottobre, ove è stato altresì chiarito che il vizio derivante dalla mancata comunicazione della data dell’udienza di discussione comporta la nullità della pronuncia da far valere con apposito gravame entro il termine decadenziale fissato dalla legge.


La vicenda di merito e il giudizio di legittimità
Un contribuente impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale l’atto di accertamento notificatogli da un ufficio dell’Agenzia delle Entrate.La pronuncia di prime cure, impugnata dopo che era spirato il termine decadenziale per il relativo gravame, veniva dichiarata nulla dalla Ctr Lazio in quanto all’interessato non era stato notificato l’avviso di trattazione previsto dall’articolo 31 del Dlgs 546/1992. In particolare, il collegio tributario di secondo grado - sul rilievo che la notificazione dell’avviso in questione era stata eseguita in luogo diverso dalla nuova residenza, che la parte aveva modificato nel corso del primo giudizio - riteneva ammissibile l’impugnazione tardiva e dichiarava la nullità del decisum della Commissione provinciale.
La pronuncia del giudice regionale veniva impugnata in sede di legittimità dall’Agenzia delle Entrate, che si affidava a due motivi di ricorso: per quanto di rilievo in questa sede, con il primo motivo la parte pubblica lamentava l’erroneità della sentenza per contrasto con le norme regolatrici della formazione del giudicato nel processo tributario, affermando che la Ctr avrebbe dovuto dichiarare l’appello inammissibile per tardività, essendo pacificamente trascorso il termine lungo dal deposito della sentenza di primo grado.
Il contribuente resisteva con controricorso e successiva memoria.
 
La Cassazione ha accolto la descritta doglianza e, dichiarando assorbita la seconda censura, ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, condannando la controricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 1.800 euro, oltre le spese prenotate a debito.

I passaggi salienti della sentenza della Cassazione
I giudici di legittimità hanno ricordato che la giurisprudenza “è consolidata nell’affermazione del principio (cfr…, tra le altre Cass. 3112/00, 8133/011; 1014/03; 4333/2002, 6466/2002, 5278/2003, 6375/2006, 13066/06, 16004/2009, n. 12761/2011)” secondo il quale l’articolo 38, comma 3, del Dlgs 546/1992 – norma che esclude la decadenza dall’impugnazione, per il decorso del termine lungo (un tempo di un anno, ora di sei mesi dal deposito della sentenza), a favore della parte non costituita che dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza – “presuppone che sussista la situazione di ‘ignoranza del processo’ ovvero che la parte dimostri di non averne avuto alcuna conoscenza”. Questa situazione, sottolinea la pronuncia in commento, non è ravvisabile in capo alla parte ricorrente la quale, avendo introdotto il giudizio, non può evidentemente affermare di non essere a conoscenza del processo; e neppure, continua la Corte, “è necessario, per ravvisare quella conoscenza, che gli sia stata anche comunicata la data dell’udienza di discussione… benchè questa omissione comporti la nullità della sentenza del primo giudice la quale si converte, ai sensi dell’art. 161 c.p.c. in motivo di impugnazione esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa”.

Osservazioni
Come noto, le pronunce giurisdizionali sono destinate ad acquisire dignità di giudicato, con conseguente intangibilità di quanto in esse statuito, quando sia inutilmente decorso il termine decadenziale fissato dalla legge per la relativa impugnazione. Nel processo tributario, l’articolo 51 del Dlgs 546/1992 prevede che, se la legge non dispone diversamente, il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria “è di sessanta giorni (“termine breve”), decorrente dalla sua notificazione a istanza di parte, salvo quanto disposto dall’art. 38, comma 3”.
Quest’ultima norma contiene la disciplina del termine lungo per l’impugnazione, valevole, appunto, in assenza di notificazione della pronuncia.
Per queste ipotesi, l’articolo 38, comma 3, primo periodo, del Dlgs 546/1992, prevede l’applicabilità dell’articolo 327 cpc, norma in base alla quale l’impugnazione non può essere proposta trascorsi sei mesi (in passato, un anno) dalla pubblicazione della sentenza che si intende impugnare.

La regola secondo cui il decorso del termine lungo comporta la decadenza dal potere d’impugnazione non si applica – in base a quanto stabilito dall’articolo 38, comma 3, secondo periodo – laddove “la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”: in questo caso, quindi, è consentita l’impugnazione tardiva, ovvero successivamente alla scadenza del termine lungo fissato dalla legge.
Al fine dell’operatività di questa eccezione alla regola generale, occorre peraltro che l’“impugnante tardivo” si sia trovato in un’oggettiva situazione di ignoranza del processo determinata, contemporaneamente, dalla nullità della notificazione del ricorso e dalla mancanza o dalla nullità della comunicazione dell’avviso di trattazione della controversia.
Questa particolare ipotesi, spiega la sentenza in rassegna, non è configurabile ove si sia verificata soltanto una delle predette condizioni: specificamente, chiarisce la Cassazione, non può pretendere di impugnare tardivamente la sentenza la parte che, pur non avendo avuto notizia della data di trattazione, era comunque a conoscenza dell’esistenza del processo per averlo essa stessa introdotto attraverso la proposizione del ricorso.
Invero, come si legge nell’odierno arresto, la violazione del comma 1 dell’articolo 31 del Dlgs 546/1992 – ai sensi del quale la segreteria della Commissione tributaria “dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni liberi prima” – si converte in motivo di nullità della pronuncia, da far valere comunque nel termine decadenziale stabilito dalla legge.

La sentenza 23323, nel confermare una regola, tradizionale e consolidata, “perché conforme al principio dell’intangibilità del giudicato e della certezza delle situazioni giuridiche e coerente sia ai principi costituzionali che a quelli dell’ordinamento comunitario”, si discosta consapevolmente da quanto affermato dalla stessa Corte con sentenza 6048/2013, ove è stato invece ritenuto che il termine lungo d’impugnazione decorre, per la parte cui non siano stati debitamente comunicati né l’avviso di trattazione dell’udienza né il dispositivo della sentenza, dalla data in cui essa ha avuto conoscenza della sentenza stessa.

Secondo l’odierna pronuncia, il principio per cui, dopo un certo lasso di tempo fissato dalla legge, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza a istanza di parte, deve ritenersi conforme al dettato costituzionale, tra l’altro in considerazione “del dovere di vigilanza della parte costituita in giudizio, in quanto coerentemente ispirato al necessario bilanciamento dell’inviolabile diritto di difesa con ineludibile principio di certezza delle situazioni giuridiche (cfr. Cass. n. 25320/2010 che richiama C. Cost n. 297/08)”.
Massimo Cancedda
pubblicato Martedì 12 Novembre 2013