Ok all’accertamento che considera solo alcuni elementi degli “studi”

Ok all’accertamento che considera solo alcuni elementi degli “studi”

Ok all’accertamento che considera
solo alcuni elementi degli “studi”
L’ufficio non è tenuto a verificare tutte le informazioni inserite nel modello, potendosi basare anche su pochi dati ritenuti sintomatici per ricostruire il guadagno
ricostruire
Ai sensi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore.
In quest’ultimo caso, l’ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente.
In questi termini si è espressa la Cassazione nell’ordinanza n. 24364 del 29 ottobre, che ha rigettato il ricorso proposto da un contribuente.

La vicenda di merito
Un contribuente propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, che, in accoglimento dell’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione di quella provinciale, aveva respinto l’opposizione dal medesimo proposta e relativa a due avvisi di accertamento concernenti Irpef, Irap e Iva (anni 2001 e 2002).
In particolare, secondo i giudici di appello, gli atti impositivi si basavano sugli studi di settore, che costituivano prova presuntiva, senza che il contribuente, che si era discostato parecchio da essi, avesse fornito idonei elementi di prova sul suo assunto, se non in modo generico.
Inoltre, sempre secondo i giudici del gravame, lo stesso contribuente aveva omesso di instaurare il preventivo contraddittorio, nonostante l’espresso invito dell’ufficio e, comunque, il moltiplicatore gli veniva applicato nel minimo previsto, tenuto conto delle deduzioni e osservazioni addotte in sede contenziosa.

Con un solo motivo di ricorso, il contribuente deduce l’illegittimità dell’operato dell’ufficio, in quanto lo stesso aveva applicato astrattamente i parametri senza aver fornito la prova della sua pretesa e, soprattutto, senza aver valutato le effettive condizioni in cui l’attività di commerciante di orologi, gioielli e articoli di argenteria veniva svolta e, precisamente, in un quartiere periferico e di persone non abbienti.

La decisione della Cassazione
Per i giudici di piazza Cavour il motivo è infondato.
Infatti, sulla base di una giurisprudenza consolidata, l’Amministrazione finanziaria può fondare l’accertamento su elementi induttivi di capacità reddituale desumibili anche dall’applicazione degli studi di settore, come nella specie.
In quest’ultimo caso, “…l’ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr anche Cassazione 16430/2011)”.
Del resto, continua ancora la Corte suprema, “…in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una ‘grave incongruenza’, espressamente prevista dal Dl 331/1993, articolo 62-sexies, aggiunto dalla legge di conversione 427/1993, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla legge 146/1998, articolo 10, comma 1, il quale, pur richiamando direttamente l’articolo 62-sexies citato, non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame, in cui comunque il divario con quanto indicato in dichiarazione era abbastanza rilevante (cfr pure Cassazione 26635/2009)”.

Osservazioni
Le motivazioni dell’ordinanza in esame trovano fondamento nell’attività concretamente svolta dal contribuente e nella considerazione che la dichiarazione reddituale dallo stesso presentata si discostasse di parecchio rispetto ai parametri di riferimento previsti per la categoria commerciale in esame.
Al riguardo, è opportuno ricordare che gli studi di settore costituiscono presunzioni semplici inidonee, di per sé, a supportare un accertamento – ove contestati sulla base di allegazioni specifiche – se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa.

In questa prospettiva, l’aspetto saliente dell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri è il contraddittorio con il contribuente, dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare, alla concreta realtà economica dell’impresa, la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri (contraddittorio a cui, nel caso in esame, il contribuente ha ritenuto di non partecipare).

Per completezza, si fa presente che, a oggi, gli studi di settore vengono utilizzati dall’Amministrazione finanziaria con molta cautela, in considerazione dell’attuale periodo di crisi economica.
Al riguardo, la stessa Agenzia delle Entrate ha da ultimo precisato che “…tenuto conto delle profonde modifiche delle condizioni economiche verificatesi nel corso degli ultimi anni a causa degli effetti della recente crisi economica e dei mercati, si ritiene che gli studi di settore evoluti nel periodo di imposta 2012, analogamente a come già chiarito con la circolare n. 30/E del 2012 per quelli evoluti nel 2011, non possano ragionevolmente essere utilizzati per rideterminare, in contraddittorio, l’ipotesi di pretesa tributaria basata sulle risultanze degli studi di settore relativa ad un’annualità precedente al 2012” (circolare 23/2013).
Senza dimenticare, infine, che sempre l’Agenzia ha già avuto modo di chiarire (circolare 58/2002) che, prima di procedere all’attività di accertamento, è necessario valutare attentamente la documentazione esibita dal contribuente e il ragionamento probatorio dallo stesso svolto per motivare una quantificazione dei ricavi diversa da quella risultante dall’applicazione degli studi di settore (cosa avvenuta nel caso di specie, laddove sono stati applicati i minimi previsti).
Marco Denaro
pubblicato Mercoledì 13 Novembre 2013