Appunti personali, indizi validi di una contabilità in “nero”

Appunti personali, indizi validi di una contabilità in “nero”

Appunti personali, indizi validi
di una contabilità in “nero”
Nelle scritture devono essere registrate tutte le entrate e le uscite utili a rappresentare la situazione patrimoniale dell’impresa e il risultato economico dell’attività
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In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il rinvenimento nel corso di una verifica fiscale della “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e documenti extracontabili riferibili all’impresa, legittima di per sé il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria idonea a contestare la pretesa erariale.
Questi i principi contenuti nell’ordinanza della Corte di cassazione n. 27456 del 9 dicembre.

La decisione
L’ufficio delle Entrate emanava un avviso di accertamento nei confronti di una società di persone esercente attività di parrucchiere, derivante dalle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza.
 
La società accertata proponeva ricorso, accolto anche dai giudici della Ctr, lamentando l’illegittimità dell’accertamento induttivo utilizzato dall’ufficio finanziario per la ricostruzione dei maggior redditi accertati.
 
Avverso la sentenza di secondo grado presentava ricorso l’Agenzia delle Entrate, accolto dalla (allora) competente Commissione tributaria centrale, secondo la quale il metodo induttivo seguito dall’Amministrazione finanziaria era assolutamente legittimo.
In particolare, nel corso della verifica erano stati rinvenuti presso la sede sociale una serie di prospetti prestampati sui quali erano stati riportati dei dati significativi, gravi e concordanti, tali da giustificare il maggior ricarico applicato dai verificatori al costo delle merci, delle prestazioni e dei beni strumentali e da confermare il maggior reddito accertato.
 
La sentenza veniva impugnata dalla società per vizi di motivazione.
La Corte suprema, analizzati i motivi di ricorso, lo rigettava perché infondato, affermando che la sentenza della Ctc fosse motivata in modo adeguato e logicamente corretto e dichiarando la legittimità dell’atto impugnato.
 
Con il principale motivo di ricorso, l’impresa contestava la sentenza dei giudici di terzo grado nel punto in cui questi non avevano considerato l’illegittimità del metodo induttivo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per la ricostruzione dei ricavi attribuibili all’impresa.
A sostegno della propria tesi difensiva, i ricorrenti lamentavano che l’ufficio accertatore non avesse addotto alcuna prova a sostegno della maggior pretesa fiscale, considerato che i prospetti rinvenuti dai militari della Guardia di finanza non avessero alcuna valenza a tal fine, stante il loro scarso rilievo probatorio.
A parere della contribuente, inoltre, i giudici non avevano correttamente considerato l’esimente del minor apporto lavorativo di entrambi i soci-lavoratori con riferimento all’anno accertato, in quanto uno dei due aveva dato alla luce un bambino, mentre l’altro aveva dovuto accudire il marito gravemente malato: tali circostanze, a giudizio della ricorrente, avevano causato una minor attività lavorativa, con la conseguente massiccia riduzione dei ricavi d’esercizio.
 
I giudici della Cassazione hanno fornito precise indicazioni in tema di valore probatorio delle scritture o documenti extracontabili rinvenuti durante l’attività istruttoria, nell’ambito dell’accertamento induttivo (ex articolo 39 del Dpr 600/1973) e in tema di onere della prova.
Nel caso di specie, nel corso della verifica fiscale, era stata rinvenuta presso la sede sociale documentazione, che i verificatori hanno ritenuto astrattamente idonea a evidenziare l’esistenza di operazioni non contabilizzate, pur in assenza di irregolarità contabili. Diversamente, la difesa aveva invocato lo scarso rilievo probatorio di tale documentazione e la loro conseguente irrilevanza ai fini dell’accertamento fiscale.
 
Come si evince dalla pronuncia in commento, la giurisprudenza di legittimità è oramai unanime nell’affermare che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, gli appunti personali e le informazioni dell’imprenditore rinvenuti nel corso dell’attività istruttoria sono suscettibili di essere considerati, con riferimento al singolo caso specifico, come “contabilità in nero”.
La Cassazione ha chiarito, a tal riguardo, che tra le scritture contabili obbligatorie, disciplinate dagli articoli 2709 e seguenti del codice civile, devono ricomprendersi altresì “tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.
 
La “contabilità in nero”, parallela rispetto a quella ufficiale, costituisce un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, espressamente previsti dall’articolo 2729 del codice civile.
Ne consegue che, considerato il suo valore probatorio, tale elemento legittima di per sé il ricorso all’accertamento induttivo previsto dall’articolo 39 del Dpr 600/1973, a prescindere dalla sussistenza di altri elementi, “incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr. anche Sent. Cass. n. 24051 del 16/11/2011 e n. 9210 del 2011)”.
Emiliano Marvulli
pubblicato Martedì 7 Gennaio 2014