Società schermo di affari illeciti: le sanzioni si applicano al reo

GIURISPRUDENZA

Società schermo di affari illeciti: le sanzioni si applicano al reo

In tal caso assume rilievo il suo rapporto fiscale e non quello della compagine, con la conseguenza che assumerà la posizione di effettivo possessore dei redditi formalmente intestati all’ente

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Se l’amministratore di una società agisce nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l'ente con personalità giuridica come schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a suo vantaggio, non trova applicazione l’articolo 7 del Dl n. 269/2003 che prevede la responsabilità della persona giuridica, ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore del reddito della società interposta, ma l’articolo 37, comma 3, del Dpr n. 600/1973, secondo cui “In sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona”. Il contribuente in questo caso non riveste la posizione di amministratore ma risulta l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società come se fossero stati prodotti da lui stesso. È la sintesi della sentenza della Cassazione n. 33434/2022.

La Corte ha più volte affermato che l'articolo 7 del Dl n. 269/2003, finalizzato ad assicurare che la sanzione fiscale amministrativa si concentri sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione, vale a dire la persona giuridica, pone in via esclusiva a carico di società o enti con personalità giuridica le sanzioni relative al rapporto fiscale, prevedendo espressamente, al comma 3, che alla situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole del Dlgs n. 472/1997, ed in particolare non è più applicabile la responsabilità solidale a carico dell'amministratore (anche di fatto) secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi nel vigore della precedente disciplina prevista dall'articolo 11 di detto decreto (cfr‘ex plurimis’ sentenza della Corte di cassazione n. 9450/2020).

La Corte ha altresì precisato che laddove risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l'ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, non sussiste più ma viene meno la ‘ratio’ giustificatrice dell'applicazione dell'articolo 7 del Dl n. 269/2003 e deve essere ripristinata la regola generale per cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito.


In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera “fictio”, creata nell'esclusivo interesse della persona fisica.
La Corte pertanto adotta un orientamento, formatosi con riguardo all’amministratore di fatto, che valorizza l’aspetto per cui in tale ipotesi esiste un soggetto che governa ‘uti dominus’ la società di capitali, il quale fa proprie le attività, i redditi e i proventi dell’ente, cui lascia la formale responsabilità e l’onere delle imposte, non assolte.
Ciò premesso, l’articolo 37, terzo comma, del Dpr n. 600/1973, secondo cui “In sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona”, individua un meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi e che trova applicazione sia in caso di interposizione fittizia che reale.

Per la sua ampia estensione, l’applicazione di questa norma non è limitata dalla tipologia di reddito oggetto di accertamento e, dunque, si estende anche al reddito d’impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali, salva la necessaria specifica verifica della relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare.
Pertanto, come già affermato dalla Corte, in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’Iva, nei confronti del soggetto che abbia gestito ‘uti dominus’ una società di capitali ha luogo, ai sensi dell’articolo 37, terzo comma, Dpr n. 600/1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta; inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore ‘uti dominus’ e la mandante è la società.

Da ciò deriva che, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a Iva, anche il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto ad Iva; a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, mentre al contribuente spetta l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto.

L’inquadramento in questione produce effetti anche sul piano sanzionatorio, in quanto l’irrogazione delle sanzioni trova il suo diretto riferimento nella condotta dell’interponente, il quale è sanzionato in proprio, in relazione all’avvenuta traslazione del reddito e dei relativi tributi dell’ente collettivo, con conseguente imputazione anche delle condotte evasive.

La Corte pertanto ritiene che alla fattispecie non si applichi l’articolo 7 del Dl n. 269/2003 in quanto il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello “proprio di società o enti con personalità giuridica” ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore ex articolo 37, terzo comma, Dpr n. 600/1970, quello specifico e proprio dell’interponente.
In base al ragionamento e alle riflessioni svolte dalla Corte, il contribuente non riveste, in questo caso, la posizione di amministratore ma è l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società come se fossero stati da lui prodotti.
Assume pertanto rilievo il suo rapporto fiscale, e non quello della società, con le correlate sanzioni per gli inadempimenti e le violazioni che lo caratterizzano.

 

Fonte

www.fiscooggi.it del 11.01.2023

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