
Non ogni atto compiuto da un imprenditore prima del fallimento può essere considerato reato di bancarotta. In parole semplici: se un imprenditore, prima di fallire, vende o trasferisce beni della società, ciò diventa reato solo quando quell’atto riduce in modo serio la possibilità per i creditori di recuperare i propri soldi. Il giudice deve accertare due aspetti fondamentali: Il momento in cui è avvenuto l’atto Il valore e l’effetto dell’atto compiuto Immaginiamo la società “Alfa S.r.l.”. A gennaio 2023, Alfa ha debiti per 800.000 euro e comincia ad avere difficoltà a pagare i fornitori. A marzo 2023, l’amministratore vende un capannone del valore di 250.000 euro al fratello, per soli 50.000 euro, e incassa subito la somma in contanti senza versarla nei conti aziendali. A settembre 2023, Alfa non riesce più a far fronte ai pagamenti e viene dichiarata fallita. In questo caso, la vendita del capannone è avvenuta quando la società era già in crisi, e soprattutto a un prezzo molto inferiore a quello reale. Diverso sarebbe se la stessa vendita fosse avvenuta due anni prima, quando la società aveva bilanci sani e nessun debito rilevante. La Cassazione precisa anche che il giudice deve valutare con attenzione l’intenzione dell’imprenditore. Infine, la Suprema Corte chiarisce che non serve dimostrare un danno economico effettivo. La bancarotta prefallimentare è punibile solo quando: l’atto è stato compiuto in un momento di crisi o di insolvenza imminente; il suo effetto economico è concretamente pericoloso per i creditori; vi è consapevolezza da parte dell’imprenditore del rischio generato. Quando, invece, l’impresa è in condizioni economiche normali e l’atto non crea un pericolo reale, non c’è reato. Le vicende di crisi d’impresa richiedono una lettura attenta e multidisciplinare: legale, contabile e aziendale. Per questo è fondamentale affidarsi sempre a professionisti esperti, capaci di individuare per tempo la “zona di rischio” e di guidare la società verso una soluzione lecita e sostenibile — evitando che un problema economico diventi un problema giudiziario
La Corte di Cassazione ha chiarito che la bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, cioè è punibile solo se l’atto compiuto è realmente capace di mettere a rischio i creditori.
Non basta che l’atto sia “sospetto”: deve esserci un pericolo concreto e attuale per la massa dei creditori.Quando scatta la punibilità
L’atto è penalmente rilevante solo se compiuto in quella che i giudici chiamano la “zona di rischio penale”, cioè il periodo in cui l’impresa è già in grave crisi o prossima all’insolvenza.
Se invece l’operazione è avvenuta quando l’azienda era ancora in buona salute economica (“in bonis”), non c’è reato, perché l’imprenditore può liberamente gestire i beni aziendali come ritiene utile.
Il giudice deve verificare quanto l’atto abbia inciso sul patrimonio.
Se il bene sottratto o venduto ha un valore minimo o non ha realmente ridotto la possibilità dei creditori di essere soddisfatti, non si può parlare di bancarotta fraudolenta.
Diversamente, se il valore è rilevante e la sottrazione ha reso più difficile il pagamento dei creditori, il reato è configurabile.
Esempio pratico
L’atto ha quindi ridotto in modo concreto la garanzia dei creditori.
Siamo dunque all’interno della “zona di rischio penale”: l’amministratore può essere accusato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
In quel caso, anche se l’atto può apparire imprudente, non sarebbe penalmente rilevante perché non vi era alcun pericolo concreto per i creditori.
Il dolo e il danno
Se l’atto è stato compiuto con consapevolezza della crisi e con lo scopo di sottrarre beni ai creditori, allora sussiste il dolo.
Se invece l’operazione era finalizzata, almeno apparentemente, a salvaguardare l’attività (ad esempio per ottenere liquidità o garantire continuità), il dolo va escluso.
È sufficiente che ci sia stato un pericolo concreto.
Il fatto che il curatore, dopo il fallimento, sia riuscito a recuperare altri beni non elimina la responsabilità penale: il pericolo c’è stato, anche se poi il danno è stato evitato.
In sintesi
L’importanza della consulenza specialistica
Una gestione superficiale o mal consigliata può trasformare una normale difficoltà economica in responsabilità penale personale per l’imprenditore o l’amministratore.
