Circolo privato e gestione di un bar per associati. E' attivitą commerciale? Avv. Francesco Cotrufo

Circolo privato e gestione di un bar per associati. E' attivitą commerciale? Avv. Francesco Cotrufo

La Suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 15475/2018, si è occupata delle agevolazioni fiscali previste per i circoli privati nell’ipotesi di gestione di un bar ad uso esclusivo degli associati.

 I Supremi Giudici ribadiscono che, ai fini della possibilità di usufruire dei vantaggi fiscali per i circoli culturali, elemento dirimente è la qualificazione dell'attività di bar ristoro come attività commerciale o meno.

 In via generale, sono considerate effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, e per le altre associazioni sono invece considerate effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il pagamento di un corrispettivo o di un specifico contributo supplementare; in via eccezionale, invece, è esclusa la qualificazione di prestazione fatta nell'esercizio di attività commerciale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi a condizione che siano "effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive".

 La possibilità di usufruire dell'agevolazione di cui all'art. 4 d.P.R. n. 633 del 1972 e 111 TUIR, anche a seguito della riforma introdotta dall'art. 4 I. 383 del 2000, deriva, infatti, dal concorso di due circostanze:

 a) dall'esclusione della qualificazione dell'attività svolta come attività commerciale, in ragione dell'affinità e strumentalità della stessa con i fini istituzionali (esclusione questa non ravvisabile nel caso di specie);

 b) dallo svolgimento dell'attività unicamente in favore dei soci.

 Essendo questo il quadro di riferimento, è agevole dedurre che solo le prestazioni ed i servizi che realizzano le finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vadano considerate come compiute nell'esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel regime impositivo (Cass. n. 19839/2005; Cass. 20073/2005; Cass. 2680/2004; Cass. n. 6340/ 2002; Cass. n. 3850/ 2000; n. 4964/2000).

 Pertanto, l'attività di gestione di un bar ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come "non commerciale", ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (art. 4 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e di quella sui redditi (art. 111 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), nel testo vigente "ratione temporis" oggi trasfuso nell'art. 148 dello stesso d.P.R., soltanto se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell'ente e sia svolta solo in favore degli associati.

 Avv. Francesco Cotrufo, avvocato e commercialista del foro di Bari